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Cittadini: “Gli emendamenti al Ddl Concorrenza non sono esenti da criticità”
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Cittadini: “Gli emendamenti al Ddl Concorrenza non sono esenti da criticità”

La proposta di equiparazione del trattamento retributivo del personale che opera nelle strutture di diritto privato del Servizio Sanitario Nazionale solleva non poche perplessità in un sistema di concorrenza imperfetta

Barbara Cittadini, Presidente AIOP 

 

Quest’anno l’Aiop ha intensificato e reso, ancora, più strutturale l’attività di relazioni politico-istituzionali e di comunicazione.

Si tratta di un’attività che richiede un impegno quotidiano e puntuale ma nella quale ho creduto molto, sin dall’inizio del mio mandato, perché ritengo questo il modo migliore per intervenire con argomentazioni circostanziate per provare ad incidere, concretamente, sulle determinazioni del decisore politico.

Per questa ragione penso sia importante sintetizzarVi, periodicamente, l’attività che ci vede impegnati.

Sono, infatti, molti i provvedimenti che riguardano il nostro settore, al momento, all’esame delle due Camere: mi riferisco, in particolare, al Disegno di Legge cosiddetto “Concorrenza”, in prima lettura al Senato, al quale sono state presentate molteplici proposte emendative che ci richiedono di essere particolarmente vigili, come già abbiamo avuto modo di rappresentarVi nell’ultimo numero di InformAiop.

Tra tutte, desidero, in questa sede, sottoporre alla Vostra attenzione la proposta emendativa che vorrebbe equiparare il trattamento retributivo del personale che opera nelle strutture di diritto privato del Servizio Sanitario Nazionale (13.1 Errani-LeU13.12 Pirro-M5S13.28 Mollame-Lega13.29 Stabile-FI), proposta nei confronti della quale Aiop è fortemente critica.

Parzialmente diverso il revisionato 13.27 (testo 2) Boldrini-PD nel quale viene eliminato il riferimento esplicito all’equiparazione del trattamento retributivo al settore pubblico e alla dotazione quali-quantitativa degli organici.

Obiettivo degli emendamenti è di applicare, al personale medico e sanitario operante in regime di dipendenza nelle strutture di diritto privato equiparate titolari di accordi contrattuali e nelle strutture di diritto privato accreditate contrattualizzate, il CCNL di categoria sottoscritto dalle Associazioni sindacali maggiormente rappresentative – o comparativamente più rappresentative nel caso dell’emendamento Boldrini - nell’ambito del SSN, “a tutela della qualità, del volume e della sicurezza delle prestazioni erogate, e del corretto rapporto tra costo del lavoro e quantificazione delle tariffe”.

Una proposta, questa, che evidentemente non tiene conto dell’assetto di “concorrenza imperfetta” del Servizio Sanitario Nazionale.

Mentre, infatti, la componente di diritto pubblico del SSN viene remunerata con il finanziamento pubblico di tutti i fattori produttivi, sovente, anche con ripianamenti di bilancio, a quella di diritto privato vengono riconosciute le tariffe delle prestazioni effettivamente erogate.

È chiara a tutti la sperequazione che vivono le due componenti del SSN.

Le strutture sanitarie di diritto privato sono chiamate ad erogare prestazioni a tutela della salute pubblica, remunerate in base ad un tariffario fisso e rigido – che pure, in più occasioni, abbiamo contestato per il mancato aggiornamento – e per di più nei limiti, in termine di volumi e corrispettivi, che vengono imposti a livello regionale, indipendentemente dalle loro potenzialità.

Il rapporto di accreditamento non è strutturato in base a criteri di mercato, ma a criteri di servizio pubblico di erogazione delle prestazioni sanitarie.

Vi è, inoltre, da dire che questo budget è reso rigido dall’art. 15, comma 14, primo periodo, del DL 95/2012, la cosiddetta “Spending Review” varata dal Governo Monti nel 2012, in una situazione economico-politica, emergenziale, ben diversa da quella attuale, ma tutt’oggi in vigore.

Misura, questa, che prevede un tetto massimo all’acquisto di prestazioni sanitarie di assistenza ambulatoriale e ospedaliera, che è pari al valore della spesa consuntivata nell’anno 2011.

Questa, per essere chiari, è la situazione nella quale noi ci troviamo ad operare.

In considerazione di quanto premesso, il budget annuale sul quale le strutture di diritto privato possono contare, deve ovviamente garantire sia l’efficienza del servizio che l’ottenimento di una quota ricavi, che consenta alle strutture i necessari investimenti in tecnologia e formazione, che mantengano elevati i livelli dell’offerta sanitaria, e permettano di conseguire, al contempo, l’equilibrio economico-finanziario, che è il presupposto per la loro sopravvivenza.

Ecco perché l’emendamento che chiede l’applicazione, anche, ai soggetti di diritto privato del CCNL di categoria sottoscritto dalle Associazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’ambito del SSN, non tiene conto del fatto che tra la componente di diritto pubblico e quella di diritto privato non vi è una piena ed effettiva concorrenzialità, dal momento che non sono poste in condizioni operative, tecniche e finanziarie di pari livello.

In altri termini, il contesto nel quale operano le due componenti, è di “quasi mercato” o di “concorrenza imperfetta”, poiché gli erogatori di diritto pubblico operano senza limiti di volumi di prestazione e con un sistema di remunerazione a costi (il cosiddetto a pie’ di lista), indipendentemente dalle prestazioni effettuate.

Va, inoltre, evidenziato come esista già uno strumento che garantisce una corretta determinazione del costo del lavoro, nel pieno rispetto della dignità e delle competenze dei lavoratori: quello della contrattazione collettiva della sanità di diritto privato.

Strumento, va evidenziato, che anche la Giurisprudenza ha utilizzato: le tariffe salariali dei contratti collettivi della categoria sono il parametro di riferimento della giusta retribuzione (Cassazione 3 dicembre 2003, n. 18601; Cassazione 8 agosto 2000 n. 10465; Cassazione 15 giugno 1998 n. 5965), a conferma del loro valore.

La proposta emendativa in materia di equiparazione di remunerazione, dunque, non solo muove da un presupposto sbagliato ma introduce, altresì, una disposizione che si pone in contrasto con l’art. 41 della Costituzione, ai sensi del quale “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

La codificazione del principio auspicato dall’emendamento che contestiamo, ponendo nel nulla le previsioni della contrattazione collettiva, conseguirebbe, invero, un risultato opposto a quello teoricamente da raggiungere: le strutture di diritto privato si vedrebbero preclusa, in ragione di una preventivabile, sopravvenuta, maggior onerosità del costo del lavoro, di poter accedere alle prestazioni in accreditamento, danneggiando così l’intero comparto del SSN, il quale riesce a garantire l’assistenza generalizzata alla popolazione proprio grazie all’apporto fornito dalla componente di diritto privato del SSN.

Come operatori di diritto privato del SSN, siamo fieri di concorrere alla realizzazione di un altissimo interesse pubblico, universale e solidale, qual è il diritto alla salute.

Ci troviamo costretti, però, a ricordare al decisore politico che, in quanto componente di diritto privato, siamo noi a farci carico di tutti i costi aziendali, dal costo del personale alla gestione della struttura, degli investimenti, della formazione, della ricerca e innovazione: tutte esigenze che debbono essere ben ponderate per mantenere quell’equilibrio economico che ci consente di essere componente essenziale, de iure et de facto, del Servizio Sanitario Nazionale, per garantire ogni giorno ai cittadini prestazioni sanitarie puntuali, efficaci ed efficienti.

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